Prefazione
di Torino Perna
Spesso, nelle giornate cristalline d'inverno, magari dopo una ricca pioggia, mi trovo di fronte l'Etna, un gigante col capello bianco e un grande mantello bluastro. Ne rimango estasiato, non mi sono mai stancato di contemplarlo anche se è da tanti anni che lo conosco. E uno spettacolo indescrivibile, guardare l'Etna dal versante calabrese, con il mare in mezzo che funziona da palcoscenico.
Più volte sono stato a Catania per ragioni di lavoro ed altro. Le prime volte non ci facevo caso, ma poi un giorno mi son detto: ma l'Etna dove? Lungo l'autostrada Messina-Catania, superati i contrafforti di Taormina, si vedono le pendici dell'Etna, d'inverno innevate, ma non si vede mai il gigante in tutta la sua maestosità.
Leggendo questo lavoro di Chiara Sasso è questa la prima immagine che mi è venuta in mente: lo sguardo esterno, lontano, che vede quello che gli altri, gli abitanti, non vedono. Uno sguardo esterno che riesce a cogliere l'insieme di una realtà complessa e conflittuale come quella della Locride. Uno sguardo che viene da lontano e che si piega ad osservare i particolari, che si fa rapire da ciò che vede, che si emoziona, si coinvolge, ma poi si riprende e riconnette tutto in quella visione d'insieme, come l'Etna, appunto, vista dalla mia sponda.
Alle volte le storie si chiamano le une con le altre, come le persone che sono vissute in epoche diverse creano fra loro un legame ideale, come c'è uno stretto rapporto tra l'ulivo e la vite nel Mediterraneo, anche se sono arrivati in tempi diversi. Così, queste pagine richiamano altre pagine, scritte da un grande meridionalista, da un uomo che ha speso una vita per questa Calabria Ultra: Umberto Zanotti Bianco. Anche lui piemontese, come Chiara Sasso, capace di combinare, in maniera mirabile, la prassi, l'impegno fattivo, con la dimensione teorica e con una scrittura pregna dei colori e dei profumi dell'Aspromonte. Ancora oggi leggere «Tra la perduta gente», scritto nel 1928, fa venire i brividi. Un popolo abbandonato dallo Stato, che si ricorda che esiste solo quando viene sfidato dal brigante o dal ribelle. Basta un'immagine, per rendersi conto di questa realtà: Zanotti Bianco che sale a dorso di mulo verso Africo, nel cuore dell'Aspromonte, ed incontra un uomo a cui domanda «da quando avete il telegrafo?», e lui risponde «Avimu a ringraziari a bon'anima i Musulino». Sorpreso, Zanotti Bianco, insiste: «Musolino?». «Eh! Sissignori. Fu quando u vorzero pigghiari ca miseru i pali. Quandu fujiu pe sti muntagni i sudati nu riuscianu mai a sapiri 'ntempu quann'arrivava, quandu partia... Si perdiana jurnati sani a mandari curreri avanti, arretu...e allura u guvernu si dicidiu a ndi duna lu filu». [Umberto Zanotti Bianco, «Tra la perduta gente», Mondadori, 1959, ripubblicato da Rubettino-Ilisso, 2006, pp.114-15].
Il brigante Musolino, figura leggendaria dell'Aspromonte, una sorta di Robin Hood per il popolo, un criminale spietato per alcuni storici, fu ricercato dai carabinieri con ogni mezzo, spesso terrorizzando la gente dei villaggi dove lui era passato. Ed è per avere collegamenti più veloci, come spiega l'africoto a Zanotti Bianco, che lo Stato ha portato i pali del telegrafo all'interno di questa zone della Calabria, non per venire incontro ai bisogni della popolazione. D'altra parte, la prima scuola di Africo è stata realizzata dall'Associazione per il mezzogiorno, fondata da Zanotti Bianco, così come alla sua straordinaria azione si devono alcuni risultati concreti, alcune battaglie vinte contro leggi inique e predatorie. Perché l'inchiesta condotta da Zanotti Bianco e la pressione che lui fece negli anni trenta sulla prefettura ed il Genio civile portarono a: un'attenuazione dell'odiosa legge sulle capre, una riduzione delle zone boschive vincolate, la sospensione della legge sui mulini.
Anche Chiara Sasso, venendo dalla Val Susa, dalle lotte contro la Tav, non ci consegna solo una vibrante testimonianza, ma costruisce uno strumento di lotta e di presa di coscienza. La sua scrittura parla il linguaggio di chi non è venuto a fotografare la realtà, a farne oggetto di un'opera artistica o di un saggio, ma di chi vi è coinvolto in un progetto, in un processo di cambiamento positivo, di chi trasforma le proprie
orecchie in antenne e sintonizza la propria anima sui canali, spesso disturbati e rumorosi, di queste popolazioni.
Ieri, come oggi. C'è un'Italia divisa e lacerata, violenta e razzista, e c'è né un'altra che costruisce rete di solidarietà e di giustizia. I tempi sono cambiati, si viaggia in aereo, c'è il cellulare, usato anche dai pastori, c'è la tv, ma questa parte della Calabria jonica è sempre più disperata, stretta tra la violenza della nuova borghesia mafiosa, le leggi ingiuste o inefficaci ed il mercato capitalistico che l'ha resa marginale. Ma il ciclo di Calabria è anche azzurro e, alle volte, ti incanta con il suoi colori. E il mare ti può fare paura, ma ti può portare anche dei doni, se li sai accogliere. Ed è questa Calabria, con le sue tinte estreme, col suo dolore e le sue speranze, che emerge nel lavoro di Chiara Sasso.
La Calabria dell'accoglienza, della civiltà dell'ospitalità, della sacralità dello Straniero. Questi valori sono rimasti incisi, malgrado i grandi mutamenti tecnologici e sociali, nelle montagne che dividono in due questo piede di terra circondata dal mare. Mi viene in mente un episodio accaduto circa dieci anni fa nel cuore dell'Aspromonte, in un paese tristemente famoso: Piatì. Un gruppo della Comunità Emmanuel di Santo Stefano d'Aspromonte, comunità di recupero per tossicodipendenti, aveva organizzato un trekking di due settimane attraverso le zone più suggestive ed impervie dell'Aspromonte. Una sera, mentre scendevano per recarsi a Bovalino a fare provviste, si sono persi nella montagna. Ad un certo punto videro delle luci in lontananza e decisero di puntare in quella direzione.
È in questa terra di Calabria che Chiara incontra figure straordinarie, da Domenico Lucano a Natale Bianchi, utopisti incrollabili nella loro fede, come lo furono Tommaso Campanella, Bernardino Telesio, Bruno Misefari. Perché questa terra come nessun altra è una terra di Utopie, di utopie concrete, di sognatori che tentano di realizzare i loro sogni.
Tonino Perna
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