Prefazione
di Paolo Henry
Si potrebbe considerare le pagine di questo libro come la testimonianza della scommessa, mai completamente vinta, di chi ha deciso di riabilitare coloro che la psichiatria ufficiale ha considerato per decenni «malati mentali cronici» senza speranza di guarigione. Alla stesso tempo, le pagine che seguono documentano lo straordinario lavoro, mai riconosciuto, dalla «Clinica» ufficiale, di quegli infermieri manicomiali, che, riscattandosi da una immagine pubblica, di custodi violenti ed ignoranti, sono stati i veri protagonisti, nel lavoro quotidiano, del processo riabilitativo. Testimoniano anche gli sforzi di quei giovani operatori delle nuove cooperative del cosiddetto «privato sociale» che hanno saputo, spesso molto meglio dei servizi pubblici, realizzare concretamente la riforma psichiatrica.
Altri lettori più interessati agli aspetti organizzativi che a quelli tecnici, potranno constatare che è possibile realizzare, anche con risorse molto limitate, la legge 180, legge però talmente scomoda da essere considerata superata ancora prima di aver provato ad applicarla!
In questo nuovo viaggio di Chiara Sasso nella sofferenza mentale, sono fondamentali la mai sopita soggettività e contrattualità degli ex internati, così come è documentato il graduale coinvolgimento, altrettanto necessario, con un numero crescente di cittadini mai psichiatrizzati e considerati "normali".
Certo, altri saranno liberi di considerare questa testimonianza del tutto superflua o peggio, controproducente, per i servizi di salute mentale. Sono ancora molti coloro che non sanno svincolarsi dalla obsoleta ipotesi del positivismo ottocentesco, che riduceva la «follia» semplicemente a malattia da diagnosticare con precisione e da curare, con la terapia appropriata, in appositi luoghi specializzati. È logico, anche se inaccettabile, che essi continuino a considerare le pratiche della nuova psichiatria democratica, come «una accozzaglia di belle intenzioni e generose improvvisazioni prive di qualsiasi valore per la vera scienza»!
Ma, a mio avviso, questo libro è molto di più. È la documentazione del salto di qualità, nel processo riabilitativo di molti ex degenti dell'ospedale psichiatrico di Grugliasco. Molti di loro, diventati "personaggi" grazie alla carta stampata, e alla notorietà raggiunta con il libro precedente della Sasso, Diecimila lenzuola dopo, dopo aver storicizzato le ragioni del loro internamento, hanno usato strumentalmente la documentazione pubblica delle loro sofferenze: da «malati mentali cronici», vergognosi della loro disgrazia, hanno scelto di diventare «ex internati del manicomio», che lottano per una vita più giusta per loro stessi e per i loro compagni di sofferenza.
Non mi risulta che ci siano altri precedenti di uso strumentale di un libro nella storia della riabilitazione psichiatrica. Ed è sicuramente difficile trovare, nella letteratura clinica, una spiegazione teorica della riabilitazione avvenuta: forse bisognerebbe rinunciare alla tradizionale separatezza scientifica della psichiatria e recuperare alcune riflessioni della recente psicologia cognitiva. Pochi di noi avrebbero comunque potuto prevedere che il racconto della Sasso, una volta stampato, avrebbe avuto una così grande influenza positiva negli ultimi anni di vita di tanti ex internati psichiatrici. Grazie al fatto di potersi percepire non più come pazienti prigionieri delle cartelle cliniche o come uomini e donne umiliati dalla organizzazione ospedaliera nei loro più elementari bisogni, ma come persone internate in una istituzione molto simile ai campi di sterminio nazisti, essi hanno conquistato tutto l'orgoglio e la disperata fierezza dei testimoni sopravvissuti.
Come se, di fronte allo sconfortante vuoto dell'esistenza futura, avessero trovato nella nuova identità proposta da Chiara, oltre ad una ragione per vivere, sperare e continuare a lottare, una nuova e più precisa percezione ambientale di se stessi.
Sono sicuro che è proprio il fatto di essere diventato un personaggio pubblico che ha permesso a Michelino di decidere di impiegare la sua vita come dirigente della associazione Primavera '85, viaggiando da Imola a Racconigi, da Como a Ruen, da Parigi a Berlino, per verificare lo stato di attuazione del superamento del manicomio.
Anche Aldo Consorte, ormai in pessime condizioni fisiche, ha trovato ancora la forza di scrivere e far pubblicare un libro autobiografico tutto suo, in dichiarata concorrenza a quello di Chiara.
Per non parlare di Rosanna, che proprio grazie al libro è diventata uno dei personaggi televisivi del Maurizio Costanzo Show ed ora tiene nella borsetta con giustificato orgoglio la targa d'argento concessagli dal comune di Almese con le pubbliche scuse dei suoi concittadini per averla fatta internare più di quarant'anni fa.
Anche Caterina, Ada, Umberto, Sergio e Maria probabilmente, se non fosse stato pubblicato Diecimila lenzuola dopo, oggi non vivrebbero in una loro casa fuori dalle mura del vecchio manicomio.
Uno solo dei personaggi del libro ha invece preteso ed ottenuto l'anonimato: oggi infatti, con l'aiuto di un infermiere psichiatrico, si dedica all'assistenza di alcuni familiari in situazione di bisogno. Per questo probabilmente ha voluto maggior riservatezza: sono ancora in molti a non credere possibile che una «malata mentale cronica» dopo decenni di internamento, possa diventare un'efficiente ed affettuosa assistente sociale aiutando i suoi parenti mai psichiatrizzati!
Qualche altro personaggio è nel frattempo scomparso: Rina, Ione, Giacinta sono morte di morte naturale; anche se, come spesso afferma Aldo Consorte, non è mai naturale morire in manicomio!
Ma queste pagine non sono unicamente la prosecuzione di Diecimila lenzuola dopo anche per una seconda ragione: l'insperata pubblicità televisiva del libro precedente ha funzionato da richiamo, da riconosciuta parola d'ordine per innumerevoli piccole iniziative alternative che sono nate in ogni parte d'Italia in questi ultimi dieci anni e sono rimaste sconosciute per i più. Questi gruppi si sono, almeno parzialmente, riconosciuti nelle avventure descritte e si sono "fatti vivi" con l'autrice.
Da queste risposte al richiamo, dagli incontri che si sono succeduti, emerge una mappa molto più ricca e diffusa di quanto si credesse, di quella che, all'estero, viene chiamata «la nuova psichiatria italiana». Sono esperienze di nuova salute mentale nate al di fuori dei celebrati santuari della «psichiatria democratica» ufficiale e, sono piccole esperienze sconosciute persino alla maggioranza degli addetti ai lavori; nate a volte per iniziativa di persone del tutto estranee all'ambiente dei servizi sanitari, altre volte sono state volute dalla disperata autorganizzazione dei parenti, in altri casi ancora, per merito di tecnici sanitari in contrasto con i metodi tradizionali imposti dal servizio di appartenenza.
Questo mondo rappresenta un sistema informale, talvolta quasi clandestino, che ha dato delle incredibili dimostrazioni concrete di quella «rivoluzione epistemologica» nella gestione della follia che il fallimento della cultura clinico ospedaliera avrebbe dovuto imporre a tutti i servizi psichiatrici pubblici. Tali esperienze concrete della nuova psichiatria democratica italiana sono numerose proprio nel sud, dove le relazioni ufficiali affermano che nulla è stato fatto per realizzare la riforma psichiatrica.
Il libro ha dato voce, ha funzionato da "passaparola" per tutti coloro che, in antitesi sempre più netta con la maggioranza dei servizi psichiatrici ufficiali impastoiati dalla burocrazia politico-amministrativa e dalla interessata pigrizia dei tecnici sanitari, hanno deciso di dimostrare sperimentalmente che è possibile ed efficace prendersi cura dei malati mentali gravi senza l'apparato custodialistico ospedaliero.
Pare quasi paradossale che proprio a questi laboratori di scienza nuova venga negato, dalla comunità scientifica ufficiale, il diritto di esistere. Ma come spesso è accaduto nella storia delle scoperte scientifiche, sono talvolta proprio i non specialisti che trovano la soluzione al problema ritenuto insolubile nelle accademie universitarie.
Anche in questo libro lo stile, tutto particolare, di Chiara Sasso resta immutato, come resta immutata la sua partigiana scelta di campo e la sua commossa, complice simpatia per chi lotta contro ogni forma di sfruttamento. Dopo tre anni al nostro fianco, l'autrice non è più del tutto "incompetente": è così attenuato lo stupito entusiasmo di chi scopre, per la prima volta, la vita nascosta dietro le mura del manicomio. In compenso, il suo approccio è più ricco di sfumature, più maturo nell'evidenziare le contraddizioni delle nuove pratiche.
Anche l'esperienza in atto nel Progetto di superamento dell'ospedale psichiatrico di Grugliasco, che è stato il punto di partenza dell'esperienza di Chiara e che, in questo libro, funziona un po' da campo base per questo viaggio fra le esperienze di psichiatria antistituzionale, è visto più ricco di dialettiche contraddizioni, più reale nelle difficoltà della gestione quotidiana e meno ingenuamente ottimistiche risultano le soluzioni adottate.
Come è successo per il libro precedente, qualcuno potrebbe leggervi la contrapposizione insanabile fra la genuina dedizione di operatori volontari e l'arido
tecnicismo burocratizzato dei professionisti ufficiali della psichiatria.
Il pregiudizio di chi vede, per ogni tecnica scientifica, l'impossibilità di confrontarsi realmente con l'uomo, con la sua sofferenza, con i suoi bisogni, va tenacemente combattuto. Infatti chi, per garantire una vera voce ai soggetti utenti del servizio, fa riferimento unicamente ad un intervento spontaneo non professionale, rischia di essere complice della psichiatria manicomiale vecchia e nuova.
Rischia di accettare come ineluttabile che i professionisti della psichiatria continuino, impunemente, ad aggredire l'unità psicofisica del loro paziente, lo smembrino in organi e facoltà funzionanti separatamente, ne occultino i bisogni esistenziali e continuino ad essere più sensibili agli interessi dei gruppi dominanti, alle loro ideologie preconfezionate, non solo nelle loro pratiche e nelle loro ricerche, ma proprio nel loro stesso apparato teorico.
D'accordo con Cristiano Castelfranchi sono invece convinto che «se una psichiatria non occultante è possibile nella pratica, deve essere possibile anche la sua teoria scientifica».
Certo per quanto riguarda l'insieme dei modelli teorici inventati per rispondere alla follia, credo che ci troviamo ora in una situazione analoga al passaggio traumatico, avvenuto alla fine del Settecento, fra l'alchimia del flogisto e la chimica dell'ossigeno. Con il successo dei tentativi per isolare il flogisto, gli alchimisti credettero fosse finalmente sciolto l'ultimo problema non risolto della loro comunità scientifica; in realtà, proprio la scoperta dell'ossigeno costituì invece la possibilità di mettere in crisi, sperimentalmente, i precedenti paradigmi e rese indispensabile l'invenzione di una nuova comunità scientifica che spiegasse le troppe anomalie della scienza ufficiale precedente.
Per molti decenni la potente corporazione degli alchimisti si ostinò a difendere la secolare esperienza teorico pratica. Ma ormai fu gioco forza scegliere un'altra strada: altri paradigmi, altri interrogativi, altri metodi. Gli alchimisti, da maggioranza in crisi, divennero, poco, a poco, minoranza. La loro resistenza fu talmente tenace ed arrogante che alcuni residui sopravvivono ai giorni nostri, due secoli dopo.
Se qualcuno vuole però, a tutti i costi, vedere una continuità fra alchimia e chimica deve unicamente appoggiarsi al fatto che l'ultima conquista dell'alchimia servì a dare inizio ad una scienza del tutto diversa. Anche se alcune acquisizioni tecniche dell'alchimia fanno ancora oggi parte della nostra tecnologia, la chimica ha cambiato radicalmente strada.
In analogia credo si possa affermare che l'ultima acquisizione sperimentale della psichiatria classica è stata quella di aver dimostrato la nefasta inadeguatezza del modello clinico ospedaliero per curare la follia. Da questa verifica è iniziata la nuova comunità scientifica.
Sicuramente alla psichiatria ospedaliera siamo debitori delle tecniche psicofarmacologiche, allo stesso modo come alle esperienze della psicoanalisi privata siamo debitori delle tecniche di ascolto.
Ma i paradigmi, i metodi scientifici, le pratiche organizzate per una maggior salute mentale, per quanto ai primi balbettii, per quanto frutto incerto di una piccola minoranza, stanno iniziando, in tutto il mondo, il
loro cammino in un'altra dirczione, con buona parte degli alchimisti della psichiatria precedente!
È però possibile che essi non si rassegnino alla obsolescenza della loro comunità scientifica.
Forti dei loro centri di potere corporativo e del loro credito sociale rimasti sostanzialmente intatti, essi sono ancora in grado, nel breve termine, di soffocare molte delle esperienze che costituiscono un rischio concreto per la credibilità di cui ancora immeritatamente godono. Infatti i tecnici psichiatrici tradizionali, nel loro tentativo di restaurazione possono trovare facili alleanze non solo nella miopia politica di molti amministratori e nella interessata vischiosità di molti burocrati, ma nella stessa fragilità teorica ed operativa delle nuove pratiche.
Una ragione di più per valorizzare la funzione storica del lavoro di Chiara Sasso: quella di aver documentato che ciò che la psichiatria tradizionale ritiene impossibile, non solo è realizzabile, ma risulta più efficace per la salute mentale delle persone sofferenti e si può rivelare persino più efficiente per il rapporto fra risorse impiegate e risultati ottenuti.
Paolo Henry
Responsabile del «Progetto superamento dell'ospedale psichiatrico di Grugliasco»
Postfazione
di Domenico Modugno
Oggi siamo ancora costretti a fare i conti con un'opinione pubblica che ritiene chiusi i manicomi e non sa invece che oltre trentamila persone vivono ricoverate nelle stesse stanze, negli stessi edifici e nelle stesse strutture che con tanta forza Basaglia aveva denunciato negli anni Settanta.
Questa è una delle tante sconfìtte dello stato a cui abbiamo assistito: lo stato è sconfitto quando un malato è costretto da reti metalliche che limitano la sua libertà; lo stato è sconfitto ogni qualvolta una persona viene legata ad un letto (e quante volte questo accade ancora); lo stato è sconfitto ogni qualvolta qualcuno è costretto a stare tra le proprie feci perché gli infermieri non ci sono, o peggio, perché questi se ne fregano.
La ricchezza delle pagine di questo libro sta proprio nel mostrare che è possibile fare qualcosa, qualcosa di assolutamente concreto e reale per persone che sono state emarginate perché malate.
Domenico Modugno
senatore del gruppo federale
ecologico europeo
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